Mons. Baturi: Sport sia educazione, non intrattenimento

L’Arcivescovo di Cagliari: “Aiuti l’uomo ad essere se stesso”

Concluso a Roma il Meeting degli assistenti ecclesiastici territoriali del CSI, convocato da don Albertini. Parole intense quelle del Segretario della CEI, dell’ex Assistente giovani Azione Cattolica don Drazza, del presidente nazionale CSI Bosio e del CT dell’Italvolley maschile, De Giorgi

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Mons. Baturi: Sport sia educazione, non intrattenimento

«Dalla storia al presente». Questo era il titolo dell’incontro degli assistenti ecclesiastici del CSI che si sono ritrovati a Roma l’8 ed il 9 febbraio. Dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, dalla Puglia al Veneto, tanta Umbria, Marche, Piemonte, Emilia-Romagna, erano oltre trenta i sacerdoti incaricati al servizio sui territori del CSI in tutta Italia presenti al consueto ritiro voluto dall’assistente ecclesiastico nazionale ciessino, don Alessio Albertini.

Il meeting formativo ha inteso toccare diversi aspetti di vita vissuta e di impegno pastorale attraverso gli interlocutori che si sono avvicendati nelle intense 24 ore romane. In apertura, profondo l’intervento di don Tony Drazza, già assistente giovani AC, quindi più schietto ed associativo il question time nel faccia a faccia avuto con il presidente nazionale del CSI, Vittorio Bosio. Nella Messa presieduta dall’arcivescovo di Cagliari Mons. Giuseppe Baturi, e concelebrata dai presbiteri arancioblu, le incoraggianti parole e le riflessioni del segretario generale della CEI hanno accompagnato la squadra dei don ciessini al time-out con Fefè De Giorgi, commissario tecnico dell’Italvolley maschile campione d’Europa e del Mondo, che, più che da tecnico azzurro, in questa sede si è ben calato nel ruolo di speciale “assistant-coach”, ossia allenatore, motivatore degli assistenti.

Al termine del ritiro è apparso assai soddisfatto don Albertini che, dopo aver presentato ai colleghi ecclesiastici il suo ultimo libro “Coraggio e Avanti. Papa Francesco agli adolescenti, per la vita e per lo sport”, ha ribadito l’importanza di lavorare in staff e li ha salutati citando la Lettera ai Romani, invitandoli a generare relazioni nelle comunità: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda, noi siamo chiamati a fare questo non siamo chiamati a scegliere a decidere ma con questo stile dentro questa comunità non siate pigri nello zelo, siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore, siate contenti della speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti nelle necessità».

E ancora con un brano degli Atti degli Apostoli e le Parole del Santo Padre. «Siate portatori di gentilezza nei vostri Comitati», ha detto don Alessio e mutuando dalla sospensione chiesta da De Giorgi (sedutogli accanto) nella finale europea contro la Slovenia, in cui Fefè spronò i suoi ragazzi guardandoli negli occhi chiedendogli “Cosa è quella faccia?” – «abbiate non la faccia da venerdì Santo o da funerale ma la faccia sorridente della Pasqua».

 

Mons. Baturi: “Anche noi cercatori di Dio e del cuore dell’uomo”
Davvero lo sport e l’attività sportiva è paradigmatica della dinamica agonistica della vita e della vita cristiana. È una partita quella dello sport che corrisponde ad un piacere, ad una possibilità di gioia e di soddisfazione, per i più piccoli magari la soddisfazione è per i genitori, ma quando i ragazzi sono in grado di decidere liberamente dello sport ormai il piacere è lì. Quasi a confermare la famosa frase di Sant'Agostino che diceva che l’uomo si muove liberamente solo in relazione del piacere. Per questo si vive il sacrificio e la sofferenza. Nello sport sono motivati proprio da questa gioia che si vuole raggiungere. Lo sport aiuta come diceva San Paolo, al rapporto con gli altri e anche con Dio perché si vive il rapporto di questa ansia di un di più. Di conoscere i propri limiti per poterli superare. Di poter emergere. Di poter giocare con gli altri secondo delle regole.
La Chiesa guarda con simpatia allo sport come attività umana significativa che può aiutarci a comprendere il senso della nostra esistenza. Come piazza di incontro, con altri uomini, popoli, culture. La Chiesa chiede che lo sport sia attività educativa, non semplicemente intrattenimento o che sia viziata da interessi egoistici o economici. Che sia un’attività educativa, cioè che aiuti l’uomo ad essere sé stesso. Lo è nella capacità di essere sé stessi rapportandosi con gli altri secondo principi di lealtà, amicizia e di rispetto. Nel rapporto con Dio a cui siamo chiamati, perché Lui è il sommo piacere. L'unico che può salvare l'uomo è Gesù e la sua fede. Ecco forse il nostro compito è sapere vivere fino in fondo guardare con assoluta simpatia questa dinamica di ricerca e di superamento di sé dell’uomo per condurlo davanti a Dio e di aiutare gli uomini a riconoscere nella propria esistenza la presenza misericordiosa e bella di Gesù che continua a passare nella nostra storia e a guardare con amore ogni persona. Anche noi dobbiamo sentirci cercatori di Dio e come Dio cercatori del cuore dell’uomo.

 

De Giorgi: “L’allenatore deve sviluppare il talento dei ragazzi”
Un time out di due ore quello offerto dal CT della Nazionale maschile, Ferdinando De Giorgi, alla squadra – capitanata da don Alessio Albertini – degli assistenti ecclesiasti del Centro Sportivo Italiano, ossia i sacerdoti incaricati dalla CEI ad operare nei comitati territoriali dell’Ente di promozione sportiva italiano. Un solo set, amichevole, in cui l’allenatore campione d’Europa e del Mondo ha messo in luce alcuni aspetti dell’essere “gruppo” e squadra.
«Ho cercato ragazzi nelle mie squadre che avevano soprattutto umiltà, rispetto e cultura del lavoro perché l’allenatore ha la responsabilità di sviluppare al meglio le loro potenzialità e trasmettere valori della vita nei quali crediamo cercando un contesto sportivo nel quale possano vivere con gioia, passione e serenità. La fiducia va dimostrata nei fatti. In generale, le persone guardano ciò che manca. Occorre invece guardare le potenzialità, creare l’ambiente. Ci sono sempre cose che i ragazzi possono migliorare. Quando guardo un giovane, non mi fermo ai difetti, ma penso a dove può arrivare il suo talento e a come posso svilupparlo».
«Rispetto, disciplina, allenamento, non possono mancare nel percorso valoriale, che c’è dietro agli azzurri di questa Nazionale. Serve attenzione. Mi interessa poter fare uscire il meglio dei ragazzi. Fargli provare il gusto delle regole, che serve a spingere a dei comportamenti utili alla squadra».

Molto apprezzate dai preti arancioblu le parole ricche di umanità, di vita vissuta e in special modo per l’attenzione alla persona e alla maglia azzurra. «Abbiamo di gruppo scelto l’urlo azzurro prima della gara. Lo ha ideato il libero Fabio Balaso che ha proposto un efficacissimo NOI, ITALIA. Che dice tutto. I valori della vita sono quelli che danno la continuità al successo perché si creano fondamenta solide. Il valore della maglia, orgoglio ed energia. Chi ha senso di appartenenza al 100% è degno di farne parte sia nei club sia in Nazionale. Serve gente che si mette a disposizione totale con pieno impegno, rispetto, regole e disciplina nell’allenamento. Se manca il rispetto delle regole non serve a nulla il talento. Pochi lavorano sulla persona, gli allenatori di oggi giudicano solo dal punto di vista tecnico e per farlo serve molto tempo e l’aiuto fondamentale del mio staff che ho sempre accanto per comprendere i motivi per i quali si sbaglia, le criticità personali per correggerlo. Non serve solo la prestazione tecnica ma soprattutto attenzione alla persona. Il mio ruolo è quello di accompagnarli soprattutto nei momenti difficili dando sempre una possibilità di correzione. L’errore tecnico non viene mai giudicato con severità ma analizzato e corretto per far prendere loro coscienza e migliorare senza umiliarli con giudizi severi facendogli prendere le loro responsabilità. La sconfitta avviene spesso, perché in quel momento qualcuno è stato migliore di te ed è per questo che si devono migliorare i difetti dal punto di vista tecnico e caratteriale sia singolarmente che di squadra».
Il commissario tecnico azzurro ha poi spiegato il titolo di questo particolarissimo incontro, “Cosa è quella faccia?”, frase ripresa da don Alessio Albertini in una omelia post pandemia ai suoi parrocchiani. «Nella finale europea con la Slovenia eravamo sotto 11-10 al secondo set, dopo aver perso il primo. Non serviva tatticamente in quel momento chiamare time-out, ma dissi comunque ai miei: “Cosa è quella faccia? Stiamo giocando la finale del campionato d’Europa...”. Stavamo perdendo la gioia della sfida e ho capito che era il momento di fermare il match al di là del punteggio e non ho parlato di aspetto tecnico perché avevo letto nelle loro facce cupe che dovevano scuotersi per reagire e vincere».
Al termine della mattinata don Alessio Albertini, assieme al vicepresidente nazionale del CSI, il salentino Marco Calogiuri, presidente del CSI Lecce, ha salutato De Giorgi, con i tre suoi “fondamentali” ingredienti per allenare, ossia le friselle, l’olio nostrano e il caffè Quarta, immancabili a detta del CT a qualsiasi latitudine per un salentino doc come lui.
L’ultimo assist di De Giorgi al CSI è preso in prestito dalle recenti parole che Papa Francesco ha rivolto nell’udienza privata, che si è tenuta lo scorso 30 gennaio con le nazionali azzurre di pallavolo: «Non perdete mai la gioia del gioco! I soldi e il successo non devono mai far venire meno la componente di gioco, di divertimento».

 

Don Tony Drazza: Incoraggiare all’impegno è metterci il cuore
Tra le tante riflessioni che mi sono rimaste dentro - e che non sono state spazzate via dal moltiplicarsi degli impegni riguardanti l’esperienza di assistente dei giovani di Azione Cattolica, emerge sicuramente il pensiero che il seminario mi ha formato al sacerdozio, ma l'Azione Cattolica mi ha fatto comprendere qual è il posto del prete all’interno della comunità ecclesiale.
La pandemia ci ha fatto pensare che niente potrà essere più come prima: come preti noi siamo perciò chiamati, quasi a livello profetico, a cercare strade nuove laddove gli altri invece vedono impedimenti.
Credo che uno dei primi compiti dell'assistente di un'associazione laicale sia questo: riuscire a intravedere sentieri (magari poco tracciati) dove altri vedono soltanto sterpaglie.
Un altro suggerimento che vorrei indicarvi è questo: credo sia arrivato il momento di poter rifare le linee del campo. Una delle immagini più romantiche che mi porto della mia infanzia è quella del mio paese di 1800 abitanti e del campo in terra battuta con le linee col tufo bianco, con le persone che la domenica mattina prima della partita di prima categoria del pomeriggio squadravano il campo.
Dopo quanto è accaduto con la pandemia, per cercare di ripartire - anzi prima di ripartire- abbiamo bisogno di trovare questa possibilità e questa nuova forza di ritracciare le linee del campo di metterle per bene, sistemate per terra perché le linee di campo regolano e delimitano qualcosa, e soprattutto senza linee del campo non si può giocare.
Qualcuno potrebbe pensare di allargare il campo, ma se noi facciamo largo non si può giocare. Ed il primo servizio che noi possiamo offrire alle nostre associazioni mettendoci accanto a tante persone di buona volontà che sacrificano il tempo è proprio questo: aiutarli e aiutarci a fare le linee del campo. Qui mi lego al tema della collaborazione, della corresponsabilità della vicinanza tra preti e laici che è un tema di buon senso prima che teologico. Perché per vivere in un’associazione guidata da laici con il nostro ruolo di assistenti è necessario avere e creare buone relazioni umane con le persone che ci stanno accanto perché questo è il vero punto di partenza. Buone relazioni e come in ogni relazione umana e questa relazione attraversata da una bellezza disarmante molte volte credo che ognuno di noi abbia avuto esperienze di relazioni belle all'interno della sua associazione, che hanno fatto fiorire la nostra vita presbiterale ed è fiorita la vita laicale attraverso l'amicizia il volersi bene ma come tutti oltre la bellezza è attraversata anche dalla fragilità che non è soltanto laicale, ma anche presbiterale.
Occorre percepire dentro la nostra storia quanto bene ci ha fatto qualche persona che ha annunciato Dio a noi preti: un catechista, un educatore, un animatore della nostra parrocchia e dei nostri oratori che ha annunciato facendoci vedere la bellezza di Dio. Ci sono tanti preti, è vero, ma ci sono anche tanti laici che ci hanno fatto innamorare di Dio e poi abbiamo fatto questa scelta forte di consacrarci totalmente a lui. Questo tema di buon senso tiene insieme la nostra umanità e la nostra maturità che non è sempre scontata.
Per vivere relazioni umane e mature noi abbiamo bisogno di essere uomini maturi, in grado di stare dentro la vita delle persone. Incoraggiare l'impegno è il titolo di questo mio intervento; beh, l'etimologia di incoraggiare è molto più interessante. Ho scoperto infatti che incoraggiare non ha a che fare molto col coraggio, ma piuttosto riguarda il cuore perché il derivato antico di incoraggiare è incorporare quindi equivale a saper mettere qualcosa nel cuore. Non solo dare coraggio o forza, ma spingere in avanti, cercare di sostenere per mettere la bellezza dell'impegno nel cuore delle persone. Occorre imparare a mettere nel cuore delle persone l'impegno, la responsabilità e la capacità di stare dentro un servizio che offrono a nome e per conto della Chiesa.
Il compito dell’assistente è dunque trovare un punto in comune. Relazioni umane. Altro comandamento per noi assistenti è la necessità di trovare spazi e luoghi in cui venga rigenerata la fede.
Infine cosa non deve fare invece un assistente?
L’assistente non deve guidare un gruppo, perché vorrebbe dire che non c’è nessun altro al suo fianco; non può essere l’amministratore, è importante invece trovare laici impegnati in questo servizio cui delegare anche l’organizzazione delle attività. Siamo abituati a spegnere ogni sogno, ad essere il sostituto nelle decisioni. In un’associazione di vita laicale le decisioni sono prese dal consiglio pastorale o direttivo, con la partecipazione seria dell’assistente: dobbiamo avere una grande conversione, pregare di essere riconvertiti. Dentro un’associazione laicale spesso si sente dire che il pastorale ce l’ha il presidente. Vi consegno in ultimo questa frase dagli Atti (11:19-26) sul finale. Si parla della visita di Barnaba alla comunità di Antiochia.
“Essere pastori significa riconoscere la grazia del Signore presente in vario modo in ogni persona ed essere capaci di gioire perché c’è la grazia del Signore che ci precede”.