A 13 anni dalla ratifica italiana, la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia continua ad essere scarsamente rispettata. È quanto si afferma nel 7° Rapporto presentato ad inizio di giugno dal gruppo CRC, network di 87 soggetti del Terzo Settore (CSI incluso) che vigila sull’applicazione della Convenzione nel nostro paese. La crisi politica ed economica che ci assedia da qualche anno si è riflessa in un indebolimento degli interventi in materia di politiche dell’infanzia, allargando ancor più la forbice che ci separa dai maggiori paesi europei quanto a tutela dei minori. Qualche dato: nel 2012 solo il 13,5% dei bambini di 0-3 anni nati in Italia (1 su 5 con almeno un genitore straniero) ha potuto accedere ai servizi per l’infanzia e agli asili nido, con opportunità ancor più ridotte nel Sud e nelle Isole. Il 4% ha fatto ricorso – non si sa quanto per scelta e quanto per mancanza di alternative – a servizi privati. CRC segnala anche che in molti Comuni si assiste a un alto numero di rinunce alla frequenza del nido sia da parte di famiglie che non sono più in grado di pagare le rette, che per il venir meno dell’occupazione della madre.
Altro nodo, questa volta non dipendente dalla rarefazione delle risorse, è la mancanza di rispetto per i diritti del fanciullo (e in particolare il diritto ad avere una famiglia) che si alimenta dalla tendenza dei servizi sociali a inserire in comunità i bambini e i ragazzi che sono fuori dalla famiglia di origine, piuttosto che usare per essi lo strumento dell’affido.
Diritto trascurato o sottovalutato è anche il diritto al gioco e allo sport. L’importanza del diritto al gioco deriva dalla certezza che il gioco rappresenta un elemento fondamentale per lo sviluppo psico-fisico del bambino. Purtroppo sul gioco “giocato”, “vero”, che diventa libera e formativa esperienza di vita (quindi con esclusione dei giochi virtuali) i dati statistici del CRC sono preoccupanti: diminuiscono gli spazi e il tempo disponibili per il gioco. Anche le scuole non sembrerebbero oggi luoghi idonei ad attività ludiche, i suoi spazi andrebbero riorganizzati.
Tutto questo non sembra preoccupare i decisori pubblici. Così è anche per lo sport. Deficit di attenzione da parte dei settori decisionali dello sport e mancanza di specifiche politiche pubbliche caratterizzano il settore. Il sistema sportivo – l’osservazione è del CRC – sembra non cogliere fino in fondo la propria capacità potenziale di essere strumento per la promozione sociale della comunità: la valenza sociale dello sport è affermata a livello di principio, ma manca la sua traduzione in un piano programmatico. Già da qualche tempo il CRC raccomanda al Ministero dell’Istruzione e a quello della Salute il varo di corsi formativi per i docenti all’attività scolastica ludico-sportiva a finalità educative. Finora non si è avuta alcuna risposta. Così continuerà a essere, presumibilmente, finché non si riuscirà a mettere a sistema l’esistente e a varare (investendo le opportune risorse) piani integrati tra sociale, sport e politiche giovanili.