Ci ha oltremodo colpito il recente episodio giovanile di violenza, legato alla passione calcistica, con un esito drammatico come la morte di un ventiseienne: occorre subito riflettere su cosa sia necessario fare, subito, per non continuare a subire una realtà che moralmente ci interroga e ci riguarda. Ci ha colpito ancor più dolorosamente che una simile drammatica notizia abbia provocato poche reazioni circa una situazione divenuta intollerabile e per la quale dobbiamo farci promotori di qualche iniziativa di cambiamento.
Questi episodi esprimono anche il sintomo di un disagio giovanile complesso, di una cultura che si sta abituando ad una particolare forma di violenza che stravolge il senso dello sport. Cosa è lo sport se non impegno, competizione leale e, sopra ogni altra cosa, gioia di vivere? Come CSI, sentiamo forte il dovere di interrogarci sul nostro ruolo. Nei nostri oratori, nelle nostre società sportive, sui nostri campi da gioco, dobbiamo continuare a insistere sull’importanza del rispetto dell’avversario, del fair play, della gestione delle emozioni e della risoluzione pacifica dei conflitti. In questa prospettiva, lo sport deve essere un luogo di accoglienza ed integrazione, dove le differenze non diventino motivo di scontro ma opportunità di crescita reciproca. L’esperienza ci ha dimostrato che i dirigenti delle nostre società sportive, e in particolare gli allenatori, sono molto ascoltati dai ragazzi e dai giovani. Facciamo in modo che l’attività sportiva sia un luogo di incontro e di fratellanza, di gioia di vivere, di occasioni per essere solidali. Senza questi ingredienti lo sport diventa scontro fra nemici, luogo di sofferenza e disagio. Non è più sport. Non può essere lo sport del CSI.
Questa battaglia contro la violenza giovanile non vogliamo combatterla da soli. È fondamentale una sinergia con le famiglie e le altre agenzie educative, oratori e scuola in primis, per intercettare precocemente i segnali di disagio e per promuovere modelli positivi. Se riusciamo ad agire insieme, possiamo anche denunciare con fermezza e, soprattutto, con coerenza, ogni forma di violenza, verbale o fisica, che si manifesta nei nostri contesti sportivi. Nel frattempo, vanno ideati progetti specifici che utilizzino lo sport come strumento di educazione e di inserimento per giovani a rischio o che hanno manifestato comportamenti violenti.