L'idea
Infanzia e adolescenza restano fasce di età, in Italia, a rischio povertà, ma al plurale: povertà economica, culturale, educativa, anche sportiva. Il diritto al gioco e allo sport sono minati da numerosi fattori: luoghi, spazi, soldi. Mancano, però, anche giovani dirigenti sportivi capaci di intercettare e rileggere, sportivamente, i bisogni dei più piccoli e di quanti li circondano.
La formazione dei membri dell'associazione, in particolar modo quelli più giovani, sul come tutelare infanzia e adolescenza, sui bisogni sportivi dell'infanzia e dell'adolescenza e su cosa significhi oggi infanzia e adolescenza, risulta azione strategica e lungimirante. In effetti, si registra una regressione della dirigenza sportiva che, se nel Centro Sportivo Italiano, non raggiunge i disvalori frequentati da taluni vertici delle federazioni sportive nazionali, non può essere semplicemente negata: si assiste ad un consolidamento dei modelli sportivi ed educativi che non rispondono alle caratteristiche dei giovani d'oggi; le metodologie e le forme di relazione non sono conseguenti alle modalità di comunicazione dei nativi digitali; la percezione dei rischi e dei pericoli della pratica sportiva è significativamente diversa rispetto a quella di alcuni anni fa; le politiche di contrasto alle povertà dell'infanzia e dell'adolescenza esigono dirigenti in grado di relazionarsi sul territorio e di rispondere con efficienza ed efficacia alla policontesturalità che i ragazzi e le ragazze devono affrontare, già con i primi passi nell'istituzione scolastica.
Ecco, allora, l'idea di un investimento su giovani dirigenti associativi, prevalentemente under 30, affinché diventino fautori di modelli promozionali di sport giovanile, avente a fondamento una policy a tutela dell'infanzia e dell'adolescenza connessa con un progetto culturale e sportivo adattato alle età evolutive.
Le esigenze rilevate
L'Italia è il Paese più sedentario d'Europa. Il 40% degli italiani non si muove. In calo, questa la triste novità, è soprattutto la pratica sportiva giovanile, scesa in dieci anni, di tre punti percentuali: i ragazzi che non hanno mai fatto sport sono passati dal 14 al 17 per cento. Sotto accusa anche le tecnologie.
Questo, però, non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni).
Studi svolti in alcune città italiane hanno evidenziato due principali motivi di abbandono, uno legato all'eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%) e l'altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell'attività fisica perché "fare sport è venuto a noia" (65,4%), "costa troppa fatica" (24,4%), e gli "istruttori sono troppo esigenti" (19,4%).
Dal 2008, 619 mila bambini sono diventati poveri in Italia. Si calcola che oltre il 15% degli under 14 abbia abbandonato la pratica sportiva per motivi economici, rinforzando il consolidato drop out al 32% annuo.
Negli ultimi anni, poi, si è aggiunta una diffidenza verso i luoghi dello sport. Durante il 2014, infatti, si sono registrati vari casi di pedofilia da parte di allenatori/dirigenti sportivi che hanno invaso le cronache nazionali e locali. Secondo una ricerca Ipsos, il 40% degli under 14 avverte il centro sportivo (palestra, piscina, ecc.) come luogo a rischio di maltrattamenti e abusi.
Appare chiara una complessiva esigenza di riqualificazione formativa e di concretezza operativa che: tuteli i minori, proponga attività sportive per tutti e per ciascuno in paradigmi rinnovati di promozione sportiva, consolidi un volontariato sportivo motivato, renda competitivi i servizi erogati. Queste cause, dirette o indirette, di abbandono della pratica sportiva rappresentano un rischio per la salute e la capacità di socializzazione dei più giovani. L’impatto relazionale dell’assenza sportiva sui nativi digitali, infatti, è elemento aperto di approfondimento e comincia anche a sollecitare importanti riflessioni, tra cui citiamo quelle che intravedono nelle attività strutturate del tempo libero, in specie quelle sportive, un contesto protettivo nei confronti dei comportamenti a rischio e un contesto promotivo per il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, soprattutto nelle scuole superiori (cfr. The Michigan Study of Adolescent Life Transitions, in Eccles B., Barber B.L., Stone M., Hunt J., Extracurricular activities and adolescents development, Journal of Social Issues, 59, 4, 865-889).
E allora la domanda: quale sport per l’infanzia e l’adolescenza del terzo millennio? Quale offerta sportiva? Quali bisogni e opportunità può e deve intercettare l’offerta sportiva di promozione sociale? Soprattutto: quale formazione per i membri del Centro Sportivo Italiano, associazione di sport sociale, in questo contesto? Quale formazione e quali pratiche esistono per innalzare la qualità sociale delle società sportive?